san giorgio(statua del santo nella chiesa parrocchiale)

Giorgio, il cui nome di origine greca significa “agricoltore”, nasce nella Cappadocia verso il 280 da una famiglia cristiana. Trasferitosi in Palestina si arruola nell’ esercito di Diocleziano. Quando, nel 303, l’imperatore emana l’editto di persecuzione contro i cristiani, Giorgio dona tutti i suoi beni ai poveri e, davanti allo stesso Diocleziano, strappa il documento e professa la sua fede in Cristo. Per questo subisce terribili torture e alla fine viene decapitato. Sul luogo della sepoltura a Lydda, un tempo capitale della Palestina, ora città israeliana nei pressi di Tel Aviv denominata Lod, venne eretta poco dopo una basilica i cui resti sono ancora visibili. Fin qui la Passio Georgii, classificata tra le opere agiografiche dal Decreto Gelasianum del 496 e definita perciò passio leggendaria.

Tra i documenti più antichi che attestano l’esistenza di san Giorgio, un’epigrafe greca del 368 rinvenuta ad Eraclea di Betania in cui si parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”. Molte nel tempo le redazioni posteriori della passio.

S. Giorgio in Friuli e a Grazzano

Nel Friuli cosiddetto storico la venerazione di S. Giorgio è attestata dall’importante sopravvivenza di almeno sessantadue tituli, di cui tredici nel Concordiese, tredici nei territori dell’antica Arcidiocesi di Gorizia e trentasei in quelli carnico-udinese. La popolarità del santo soldato cappàdoce non tanto fu dovuta all’influsso devozionale dei crociati (secoli XI-XII), che ne avevano venerata la tomba a Lidda in Palestina, quanto già ai Longobardi del Ducato di Cividale, su diretto influsso bizantino.
La venerazione a S. Giorgio, di estrazione aristocratica e guerresca, richiese periodiche riappropriazioni da parte del sentimento popolare. Dall’osservatorio minimo di Grazzano – dove il crot (la ‘rana’) impersona la commestibile controfigura del drago infilzato dal Santo (che, appeso il ranocchione alla sella del ronzino, ironizzava appunto una Canzonete settecentesca, Cul spêt [spiedo] insanganât / … / Al entre par Grizan) – si nota allora come la Confraternita degli «onesti lavoratori» del borgo chiedeva (26 febbraio 1529) al pittore Sebastiano Florigerio di raffigurare, insieme a «S. Giorgio guerriero a cavallo nell’atto che uccide il dragone» e «la donzella salvata», anche «la Vergine col Bambino in braccio, alcuni Angioli all’intorno e […] S. Giovanni Battista»; a parte l’intrusione del Battista (in formale ossequio ai commendatari dell’Ordine giovannita), si coglie anzitempo la forte preoccupazione dei committenti che nella scena sia assicurata la famigliare presenza della Vergine Maria, di per sé estranea alle tradizioni su S. Giorgio: attraverso questo espediente era dunque garantito alla nuova icona georgiana maggiore accesso alla pietà del popolo, tanto che la splendida pala del Bastianello finì per costituire un apprezzato modello.
In seguito, solo nei primi decenni del secolo XX fu energicamente rinnovato il tentativo di rendere ancora attuale il profilo georgiano. Un’appassionata rinascita della pastorale giovanile induce parroci come Eugenio Blanchini (†1921) e Paolino Urtovic (†1944) a proporre all’entusiasmo imitativo degli adolescenti un santo a loro misura, anche se assai diverso dalla figura ascetica e di nera barba che potevano sogguardare nella pala del Florigerio. Concorre per primo don Giuseppe Ellero (1866-1925), in occasione del XVI centenario del martirio di S. Giorgio, con un sonetto della migliore atmosfera carducciana: il santo vi è sì raffigurato giovane, biondo e bello, ma la sobrietà compatta del verso e le dotte allusioni non sembrarono ancora centrare lo scopo con l’effetto desiderato. Sulla buona strada parve meglio indirizzato il poeta che si firmava inverosimilmente «Hermann», additando in terzine pseudo-dantesche eroiche prospettive oltre le deprimenti inquietudini dell’anno 1923: «La maschia forza della giovinezza / rompea possente dal robusto petto / […] / E la fanciulla gli tendea le braccia / […] / O gioventù d’Italia, … / […] / fresca falange di divini incanti»! ecc.; e concludeva con l’ormai topico richiamo al rinnovamento ideale affidato ai giovani: «O San Giorgio, per Te rifiorirà / Udine nôva, con ardor novello / nei cavalieri d’una nôva età!»… Era così tutto approntato perché don Federico Pilutti componesse finalmente il suo Inno a S. Giorgio («O San Giorgio, cavaliere / d’ogni lotta bella e santa, / odi il popolo che canta / la canzon del borgo a Te! ») e il ‘maestro’ Luigi Garzoni (1890-1972) lo musicasse, nel 1927. Versi di riscossa cattolica, non privi di sottintesi interpretabili a seconda dell’occasione (del tipo: «noi vedrem l’empia masnada / del nemico impallidir»): ma nel canto a voce spiegata si dimostrarono indubbiamente capaci di convenire tanto all’epoca ante- e postbellica, quanto all’ancora forte identità borghigiana, fomentandola per decenni.